Giuseppe e i suoi fratelli - 1. Le storie di Giacobbe (Italian Edition) by Thomas Mann

Giuseppe e i suoi fratelli - 1. Le storie di Giacobbe (Italian Edition) by Thomas Mann

autore:Thomas Mann [Mann, Thomas]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788852063886
editore: Mondadori
pubblicato: 2015-04-20T22:00:00+00:00


LA GRANDE BEFFA

In verità nessuno fu ingannato, neppure Esaù. Se noi raccontiamo qui in modo talora ambiguo e difficile di soggetti che non sempre sapevano esattamente chi fossero e se nemmeno Esaù lo sapeva sempre esattamente, ma talora credeva di essere egli stesso il caprone primordiale della gente di Seïr e parlava di questo in prima persona, tale confusione occasionale riguardava soltanto l’elemento individuale e temporale, ed era addirittura una conseguenza del fatto che ciascuno sapeva benissimo chi egli era nella sostanza, fuori del tempo, nella dimensione mitica e tipica. Anche Esaù lo sapeva, e di lui non invano fu detto che, a suo modo, era un uomo religioso quanto Giacobbe. È ben vero che avvenuto l’“inganno” egli pianse e si infuriò e attentò alla vita del fratello più che Ismaele non avesse attentato a quella di Isacco, ed è anche vero che egli discusse con Ismaele progetti per uccidere non solo Giacobbe ma anche Isacco. Ma fece tutto questo appunto perché era nel ruolo, nel carattere a lui assegnati ed egli sapeva con religiosa certezza che tutto quanto avviene è l’adempiersi di un destino e l’accaduto era accaduto perché doveva accadere secondo un prototipo dato: non era accaduto cioè per la prima volta, ma già altre volte, in forma di cerimonia, secondo il modello prescritto, modello incarnato nel presente come avviene nelle feste ed era ritornato, come appunto le feste ritornano. Infatti Esaù, zio di Giuseppe, non era il capostipite di Edom.

Perciò, quando giunse l’ora e i due gemelli avevano quasi trent’anni, Jizchak, dall’oscurità della sua tenda, mandò un giorno lo schiavo che lo serviva, un giovinetto a cui mancava un orecchio tagliatogli per certe sue sventatezze, lezione che gli aveva giovato. Lo schiavo andò e incrociò le braccia sul petto nerastro davanti a Esaù, che lavorava sul campo con i suoi servi, e gli disse: «Il padrone chiede del mio signore». Esaù restò come radicato al suolo e il suo volto rosso impallidì sotto il sudore che lo copriva. Balbettò la formula dell’obbedienza: «Eccomi». Ma nella sua anima pensò: “È venuto il momento!”. E quest’anima fu piena di fierezza, di sgomento, di solenne ambascia.

Dal lavoro del campo, dalla piena luce del sole, entrò nella tenda, dal padre, che giaceva nella penombra con due pezzuole bagnate sugli occhi, si inchinò e disse:

«Il mio signore ha chiamato.»

Isacco rispose con tono alquanto lamentoso:

«Questa è la voce di mio figlio Esaù. Sei tu, Esaù? Sì, ti ho chiamato perché l’ora è venuta. Avvicinati, o mio figlio maggiore, affinché mi assicuri che sei tu!»

Esaù, cinto di pelli di capra, si inginocchiò accanto al giaciglio e tenne gli occhi fissi sulle due pezzuole quasi volesse forarle e penetrare negli occhi del padre, mentre Isacco gli tastava spalle e braccia e petto e diceva:

«Sì, sì, queste sono le tue ciocche e questo è il rosso vello di Esaù. Lo vedo con le mani che ormai, bene o male, hanno imparato a esercitare l’ufficio degli occhi ogni giorno più deboli. Ascolta dunque, o figlio mio, apri le orecchie e accogli la parola del padre cieco, perché l’ora è giunta.



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